Lo scorso 27 gennaio è stata celebrata la Giornata della
Memoria in ricordo dell'abbattimento dei cancelli del campo di sterminio di Auschwitz
avvenuta nell'ormai lontano 1945.
Una data appunto distante ma
sempre attuale dato che il razzismo e la violenza con cui si
esprime sono una realtà anche dei nostri tempi.
Il 27 gennaio 1945 i pochi
sopravvissuti alla terribile esperienza del campo di concentramento (lager
in tedesco) poterono tornare alla libertà per cercare di raccontare agli altri
ciò che avevano provato sulla loro pelle ed evitare il ripetersi di tragedie simili.
È questo il motivo per cui
abbiamo deciso di dare il nostro contributo approfondendo il contesto in cui è
avvenuto il dramma dell'Olocausto.
I campi di concentramento erano una struttura carceraria all’aperto
avente lo scopo di realizzare la soluzione
finale voluta dai nazisti ai danni soprattutto del popolo ebraico (ma non solo, visto che
furono imprigionati anche zingari, omosessuali, oppositori politici, comuni
delinquenti).
Tra questi luoghi di morte, il
campo più tristemente famoso è quello di Auschwitz in Polonia, reso
operativo a partire dal 14 giugno 1940 dopo l'invasione di quel Paese da parte
della Germania nazista di Hitler.
Alla fine della guerra il
numero di morti in questo campo raggiunse la cifra spaventosa di 1.500.000
(in totale furono 6 milioni gli Ebrei sterminati nel corso del conflitoo). Si
trattava di persone che, appena giunte al lager, venivano per la maggior
parte spedite subito alle camere a gas e quindi ai forni crematori.
Perlopiù (si calcola il 75% di
ogni convoglio giunto a destinazione) erano donne, anziani, bambini, portatori
di handicap, vale a dire coloro che, dal punto di vista nazista, non potevano
essere sfruttati per i lavori all'interno del campo. Si racconta che il
generale Karl Fritzsch accolse con
queste parole le prime 728 persone che arrivarono ad Auschwitz: “Non siete
venuti in un sanatorio, ma in un campo di concentramento tedesco. Da qui non
c’è altra via di uscita che il camino del crematorio. Se a qualcuno questo non
piace, può andare subito contro il filo spinato. Se in un trasporto ci sono
degli ebrei, non hanno diritto a sopravvivere più di due settimane, i preti un
mese e gli altri tre mesi”.
Ahimè quelle parole furono
mantenute ed è per questo che dal 1979 anche l’UNESCO riconosce in ciò
che rimane del campo di concentramento di Auschwitz un patrimonio da conservare
per la memoria delle generazioni future.
Beatrice Carminati, Mirea Elia